Le Cave di Molera sono un antico complesso estrattivo nel Parco del Lanza, lungo la ciclopedonale che collega Malnate a Cantello, in provincia di Varese. Le conoscevo da anni, ma non ci ero mai andato: un po’ per pigrizia, un po’ perché altre idee avevano preso il sopravvento. Poi, in una mezza giornata libera, con un cielo grigio e nuvoloso, ho deciso di esplorarle. La luce diffusa di quella giornata—senza ombre nette, senza contrasti duri—era perfetta per un posto come questo, dove il chiarore filtra dalle aperture del soffitto, tra i rami degli alberi, e illumina pareti scure e umide.
Arrivato sul posto trovare l’ingresso delle cave non è stato difficile. E’ un luogo facile da trovare, e questo lo rende molto comodo per una fuga fotografica rapida. Una volta dentro, soprattutto nell’ultima cava, il “Mulino del Trotto”, mi sono fermato, colpito dalla vastità dello spazio. Le pareti di roccia, segnate dai cavi di taglio, si ergono altissime; la vegetazione si arrampica ovunque, anche in un luogo così buio; l’eco delle gocce d’acqua che cadono dall’alto rimbomba come un respiro lontano. Ti senti piccolo, quasi sopraffatto dalla grandezza di ciò che ti circonda. Camminando all’interno, il terreno sconnesso e le rocce irregolari mi hanno costretto a muovermi con cautela, ma ogni passo rivelava un nuovo angolo da osservare, un nuovo gioco di luce da catturare.
Fotografare qui è stato sia un privilegio che una sfida. Ogni angolo sembra chiedere di essere immortalato, ma ci sono due ostacoli: il contrasto tra la luce che entra dall’alto e l’oscurità interna, e la difficoltà di trasmettere la vastità dello spazio. Per gestire il contrasto, ho scattato in bracketing—tre esposizioni diverse per ogni foto—e poi le ho unite in post-produzione per bilanciare luci e ombre. Per dare scala, ho usato un grandangolo da 16 mm e mi sono messo in alcune foto, con una giacca gialla che spicca contro la roccia grigia. Questo aiuta a capire quanto sia grande la cava. Poi, con un teleobiettivo da 200 mm, ho catturato dettagli: riflessi di luce sulle pareti, texture ruvide della roccia, ombre che creano effetti quasi surreali.
Non so quanto tempo ho passato lì—forse ore. Camminavo, scattavo, provavo angolazioni diverse, con il freddo umido che mi entrava nelle ossa e il silenzio rotto solo dal rumore dell’acqua. Le foto finali mostrano la luce che filtra, le pareti scavate, i dettagli della roccia. Ma viverlo è stato più intenso: un’esperienza che mi ha portato lontano, in un luogo che sembra quasi un altro pianeta. È stata una giornata che mi ha ricordato perché amo la fotografia: non solo per le immagini, ma per il modo in cui mi fa sentire vivo, connesso a ciò che mi circonda.









