Tällihorn

Era da troppo tempo che non prendevo in mano la macchina fotografica. O almeno, così mi sembrava. Quando succede, un senso di vuoto mi avvolge: mi sento privo di scopo, incapace di esprimermi, come se il mondo perdesse i suoi contorni e la sua bellezza. La fotografia, per me, non è solo un’arte—è un modo per vedere, per sentire, per esistere. Così, dopo una notte insonne, con il buio ancora fitto, mi sono alzato dal letto a un’ora che per molti sarebbe impensabile. Ho preparato l’attrezzatura e sono partito.

La meta? Il Passo del Sempione, un luogo che per me ha un’aura quasi magica. Negli ultimi tempi ci sono salito spesso, per sciare lungo i pendii incidendo curve nella neve fresca delle sue cime. Ma quel giorno avevo un altro obiettivo. Lungo il tragitto, poco prima del villaggio di Gabi, la vallata si apre per pochi, fugaci secondi, rivelando il Tälligletscher. Non è un ghiacciaio imponente come l’Aletsch o il Gorner, ma ha una bellezza intima, quasi segreta, che mi attira da anni. Da lontano, i suoi pendii sembrano perfetti, un sogno per uno sciatore. Più di una volta ho immaginato di scendere lungo quelle linee immacolate, con il vento gelido che mi sfiora il viso.

Fotografarlo, però, è un’impresa. La corona montuosa che lo circonda e le nubi basse, quasi perenni, lo nascondono spesso alla vista. Il punto di ripresa, appena prima di un piccolo tunnel, non aiuta: uno spiazzo stretto sul ciglio della strada, dove il rischio di un camion in corsa è reale. Non si può parcheggiare nelle vicinanze, e una brezza gelida soffia incessante, facendomi stringere nel giaccone. È facile scoraggiarsi e cercare scenari più comodi. Ma se fosse facile, non sarebbe per me.

Questa volta, però, tutto era perfetto. Le nevicate degli ultimi giorni, seguite da una bolla di alta pressione e venti forti in quota, avevano liberato la conca. Il Tälligletscher, con le sue cuspidi—Tällihorn e Tossenhorn—si mostrava in tutto il suo splendore. Ho montato un teleobiettivo con un filtro polarizzatore, scattando una sequenza panoramica di cinque immagini per eliminare ogni foschia e catturare ogni dettaglio con la massima nitidezza. L’idea era concentrarmi sull’ora blu, quel crepuscolo magico prima dell’alba, quando il mondo si tinge di un’unica tonalità di blu profondo. Ma poi, un aereo di linea ha attraversato il cielo sopra di me, i suoi riflessi arancioni e rosa un segnale chiaro: un’alba spettacolare era in arrivo.

Ho deciso di aspettare, immobile nel freddo pungente, il silenzio rotto solo dal mio respiro che si condensava nell’aria. Dopo mezz’ora, il sole ha fatto capolino, accendendo le nevi di una luce rosa tenue, come se la montagna si stesse risvegliando. È stato come assistere a uno spettacolo scritto da un regista invisibile.

Un desiderio—quello fotografico—l’ho realizzato. Ora resta quello sciistico: scendere lungo quei pendii perfetti. Chissà, forse un giorno.

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